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Vigneti Piancogno Altopiano del Sole visti dall'alto

VIGNETI

L’ALTOPIANO E I SUOI VIGNETI

L’Altopiano del Sole è terra di vino e di vigneti. Una storia lunga secoli che dall’Alto Medioevo ci conduce fino ai tempi d’oggi, con un’importate storia di coltivazione della vigna e della produzione di vino in Valcamonica.

I VIGNETI IN ETÀ MEDIEVALE

La prima tappa nella storia dei vigneti dell’Altopiano del Sole è un documento datato 845, in cui si fa riferimento a una vigna esistente a Breno. Nell’inventario dei beni di proprietà del Monastero femminile di San Salvatore-Santa Giulia di Brescia, risalente agli anni 905-906, vengono menzionate alcune corti della Valcamonica comprendenti diverse vigne coltivate da servi, dalle quali dovevano essere riscosse complessivamente 65 anfore di vino. Anche il monastero di San Salvatore di Cemmo e varie pievi valligiane possedevano terreni con vigneti, affidati a servi o affittuari dai quali riscuotevano canoni e decime in forma di quantitativi prestabiliti di vino. Nel Basso Medioevo, non sono più solo i monasteri e gli enti ecclesiastici a dedicarsi alla coltivazione delle vigne e alla produzione di vino, ma anche le famiglie nobiliari, tra cui spiccano i Griffi di Losine.

I VIGNETI IN ETÀ MODERNA

Da Padre Gregorio Brunelli (1698) ricaviamo alcune informazioni preziose in merito alle modalità di coltivazione usate a quei tempi in Valcamonica: “Le vigne stanno, o imprigionate tra i muri nei broli, o maritate ad alberi fruttiferi nei campi, o stese in alte pergole intorno alle case e sopra le strade, e non mancano vignali in modo di boscaglie con tal maestria coltivate che dai siti stessi del tutto sassosi riescono di uve a meraviglia feconde”.

Il primo documento in cui si rinviene la presenza di vigne sul versante montano di Piancogno è costituito da un atto datato fine XI secolo.  Lo scritto – volto a comporre la pluricennale contesa tra abitanti della Val di Scalve e bornesi per la rivendicazione della proprietà del monte Negrino, ricco di pascoli – menziona una scorribanda compiuta dagli scalvini nel territorio di Borno (con tutta probabilità sul versante di Piancogno), conclusasi con la distruzione di dodici torchi e varie vigne. Nello Statuto della comunità di Borno del 1446, all’articolo 4, viene sancito il divieto di far pascolare animali, soprattutto capre, nei vigneti del suo territorio. Dal catastico di Giovanni da Lezze del 1609 veniamo a sapere che “in una parte sola” di Borno (evidentemente riguardante il versante montano di Piancogno) vengono prodotti vini “grati al gusto…”.